Suicidio Malattia Professionale

Con la sentenza del  Tribunale di Napoli n.5759/2025 del’11.7.2025 il decesso del lavoratore per suicidio è stato ricondotto, sotto il profilo concausale, alla neoplasia polmonare contratta nell’espletamento delle attività lavorative presso un centro siderurgico napoletano, con accertata esposizione qualificata all’amianto. Pertanto il Giudice ha riconosciuto al coniuge superstite la rendita ex art.85 T.U. 1124/1965.

la giurisprudenza si è posto il problema della riconducibilità del decesso alla responsabilità del danneggiante.

Infatti si pone il dubbio se il suicidio, che di per sé sarebbe l’esempio più classico di fattore causale sopravvenuto ed esterno in grado di spezzare la catena causale tra condotta del responsabile e danno, possa essere fatto ricadere nella responsabilità del danneggiante. E, in tale senso, le Corti hanno avito modo di affermare la responsabilità del soggetto che aveva causato il sinistro stradale anche in caso di suicidio, sostenendo la responsabilità del soggetto che aveva causato il sinistro stradale anche in caso di suicidio, sostenendo la possibilità di ricondurre causalmente alla condotta del responsabile anche3 quella particolare “conseguenza” rappresentata dal suicidio della vittima.

Con sentenza n. 5737 del 24.2.2023, la III sez. Civ. della Cassazione, rifacendosi all’articolo 41 c.p. (concorso di cause) ha ribadito che: “se la causa naturale non è stata esclusiva ma solo concorrente rispetto all’evento, la responsabilità dell’evento sarà per intero ascritta all’autore della condotta illecita”. Di conseguenza, per i Supremi Giudici, “una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti è possibile soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile.” L’evento in questione (la morte) sarebbe, quindi, direttamente imputabile all’autore perché la causa naturale non è esclusiva, ma concorrente insieme alla causa umana nel determinare l’evento finale.

Da ciò deriva che non è possibile comparare il grado di incidenza di più cause concorrenti, se tra queste vi sono una causa umana (imputabile), cioè il sinistro direttamente provocato dal condannato, e una naturale (non imputabile), ovvero tutti gli altri presunti eventi o situazioni, accorsi alla vittima, che abbiano contribuito al suo suicidio.

Questi altri eventi sono ben analizzati nel terzo motivo (anch’esso accolto) redatto dai ricorrenti, secondo i quali “il peso causale di due terzi riconosciuto al contesto di già apprezzabile difficoltà, personale e familiare ed economica sarebbe contraddetto da tutti i fatti accertati”. Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello non avrebbe isolato le conseguenze dannose del sinistro, stimando (in violazione degli articoli 40 e 41 c.p.) in un terzo il contributo causale rispetto al suicidio valorizzando l’intervento delle concause (“condizioni personali”, “contesto di difficoltà”). Nello stesso tempo, però, riconosceva che soltanto il sinistro aveva “destabilizzato le condizioni vita e soprattutto psicologiche” del soggetto.   Sempre secondo la Corte di Appello non risultava decisivo in ogni caso l’accertamento di una patologia depressiva insorta dopo il sinistro e neppure sarebbe stata da escludere una sua esistenza precedente al sinistro, motivata dalle difficili condizioni personali del soggetto.

Secondo il Giudice d’Appello il suicidio si spiegava “solo” nei termini secondo i quali le conseguenze del sinistro si fossero inserite in un contesto di complicata condizione personale, e non ne potevano quindi rappresentare l’unica causa.

Citando la sentenza della Cassazione n. 30521 del 22/11/2019, che pone come base a sua volta gli articoli 40 e 41 c.p., e in particolare la concorrenza di cause, gli Ermellini replicavano al Giudice d’Appello, asserendo che il resistente era responsabile per intero delle conseguenze dell’evento (il suicidio) in quanto le condizioni ambientali o i fattori naturali intrinseci (come le condizioni di vita difficili o una possibile depressione), non potevano dare luogo, senza intervento umano, all’evento mortale di tipo suicidiamo. Il responsabile del sinistro stradale sarebbe sollevato da ogni colpa soltanto se tali condizioni fossero state sufficienti, da sole, a determinare l’evento. Non solo: la stessa sentenza citata dalla Corte ricorda come “non è ammesso affidarsi ad un ragionamento probatorio semplificato tale da condurre ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa con relativo ridimensionamento del quantum risarcitorio”, come invece concluso nella sentenza d’Appello con un’impropria suddivisione del quantum risarcitorio.

La sentenza ribadisce, nuovamente, come un fatto umano, attivo, omissivo o commissivo, antecedente ma da solo non sufficiente a generare un evento, a meno di partecipazione di fattori naturali o ambientali, rimane pur sempre all’interno della catena causale da considerarsi sempre in forma, comunque, unitaria, che non può essere frazionata così condurre ad un ridimensionamento del danno risarcibile.

Pertanto la sentenza  ha accolto la tesi difensiva circa l’idoneità  sotto il profilo cronologico, quantitativo e qualitativo del nesso causale tra il tumore polmonare metastatizzato ed il suicidio maturato nella consapevolezza del fallimento della terapia, degli effetti collaterali della nuova chemio-terapia, dello scarso controllo della componente dolorosa per la comparsa di nuove lesioni ossee, della consapevolezza della progressione della malattia e pertanto della prognosi infausta.sentenza Tr.Napoli